
Un vero e proprio tuffo nel passato ci porta a riscoprire un classico dimenticato: L’avvelenatrice di Alexandre Dumas, tratto da un reale caso di cronaca parigina, e pubblicato nel 1839, nella serie intitolata “Crimini celebri” (Les Crimes célèbres).
Di Dumas si conoscono più che altro opere successive a questa, come I tre moschettieri e Il conte di Montecristo, le quali hanno molto influenzato cinema e teatro (come non ricordare, ad esempio, il bel Leonardo Di Caprio nella Maschera di ferro?), ma dell’interesse dello scrittore francese per i casi di cronaca e quindi per la psicologia, femminile in particolare, si ricorda ben poco. Eppure anche qui, in queste brevi operette, Dumas raggiunge un alto grado di intensità narrativa, catturando sia il cuore, che il cervello del lettore.
Immaginatevi dunque nella Francia del XVII secolo. La corte di Luigi XVI era patria di lussi e di intrighi, di tradimenti e di misteri.
Marie-Madaleine d’Aubray, marchesa di Brinvilliers, è la nostra protagonista. Ella aveva tutte le qualità che una donna del suo secolo potesse desiderare. Di fattezze minute e di bellezza incredibile, era animata da un carattere fermo, tendente a sprazzi di ilare giovialità. Amava divertirsi e amava il denaro, che non le mancava. Pur appartenendo alla nobiltà, non aveva però potuto sposare l’uomo che desiderava, ma le era stato imposto un matrimonio con un uomo che la tradiva e che si disinteressava di lei.
Con il passare del tempo la marchesa si sentiva sempre più in gabbia, ma la sua abile astuzia le aveva fornito la via di fuga perfetta: ammazzare il marito e godere così dell’eredità che le spettava.
Insieme al suo amante, ex prigioniero della Bastiglia, Marie-Madaleine aveva quindi imparato l’arte di maneggiare i veleni e i due erano diventati presto complici di numerosi omicidi, utilizzando con estrema freddezza ignari membri della servitù come cavie, per poi passare a prede più sostanziose.
Lo stile ancora non del tutto maturo, ma già inconfondibile di Dumas traccia i lineamenti di una donna camaleontica e poliedrica: dapprima perfida calcolatrice, distaccata e imperturbabile; poi, di fronte al processo e alle torture, semplicemente in lacrime, presa dal pentimento e dal rimorso.
Dumas non si accontenta certo di presentare ai suoi lettori una storia morbosa, fatta di dettagli truculenti e nemmeno di descrivere la marchesa di Brinvilliers come una donna odiosa e repellente. Egli ha tutta l’intenzione, invece, di farcela compatire e comprendere. Alla fine del romanzo si è così partecipi del dolore di questa donna, che ci sembra di trovarci accanto a lei, mentre prepara i filtri mortali, e mentre risponde alle domande del giudice.
Dumas in quest’opera ci spinge a farci molte domande sulla condizione della donna, dentro e fuori da un carcere, sulla misteriosità della mente umana, sulla reale utilità della tortura, come mezzo giudiziario, sulla pena di morte, ma lo fa senza mai imporci il suo giudizio. Come lettori siamo liberi di avere il nostro pensiero; ne abbiamo sia il diritto, che il dovere; Dumas ha semplicemente lasciato le briciole dietro di sé.
Ricordandovi l’appuntamento di martedì prossimo, ho un ultimo consiglio da darvi: se il libro ha stuzzicato la vostra curiosità, procuratevi la gustosissima edizione di ABEditore, di cui qui sotto ho inserito la prima e la quarta di copertina. In fondo anche l’occhio vuole la sua parte!
Cat.
Titolo: L’avvelenatrice
Autore: Alexandre Dumas
Edizione: ABEditore
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