Narrativa straniera

RECENSIONE: “Olive Kitteridge” di Elizabeth Strout

Titolo: Olive Kitteridge
Autore: Elizabeth Strout
Editore: Fazi
Pagine: 383
Anno: 2009
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Voto: 4/5
4stelle

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Questo libro consegnò in mano alla sua autrice il Premio Pulitzer nel 2009 ed è strabiliante notare come sia accattivante senza avere alcun effetto speciale. Le trame ricche di colpi di scena, è vero, attirano la nostra attenzione, coinvolgono i nostri sensi, ci fanno perdere la cognizione del tempo, ma tutto ciò può avvenire anche con un libro che tratta semplicemente di vite umane vissute, di passato e di presente.

Quello della Strout è pensato come una raccolta di racconti, che hanno come protagonista, o come semplice collegamento, il medesimo personaggio: la Olive Kitteridge del titolo. Tale espediente rende più briosa una trama, che altrimenti avrebbe potuto risultare più lenta, e inoltre concede al lettore la piena libertà di leggere anche solo un capitolo, cioè un racconto/episodio, alla volta, senza per questo perdere la visione d’insieme.

Olive Kitteridge è un’ex insegnante di matematica che abita nella piccola cittadina di Crosby, nel Maine: una signora alta, dai capelli ormai ombreggiati di grigio, piuttosto corpulenta, con un carattere che sa essere schietto, ma anche molto riflessivo e schivo, che non l’ha certo aiutata a mantenere rapporti sereni con la sua famiglia e con i compaesani. Olive passa le sue giornate a metà tra lo stare in società e il rifugiarsi nella solitudine e nei ricordi del passato. Ama osservare tutto ciò che la circonda, scrutare i segreti del prossimo, giudicarli con spietata ironia, pur mantenendo costantemente intatti i propri.

Un personaggio particolarissimo, che pure non fa niente per esserlo. Non ha niente di ciò che potrebbe farla definire un’eroina; a volte dimostra una vena di scorbutaggine davvero impressionante. Ogni abitante di Crosby la conosce, la saluta, ma come è inevitabile in tutti i piccoli paesi, sparla di lei, chiedendosi in che modo il marito Henry, così gentile e affabile, abbia potuto sopportarla per così tanto tempo, e come invece il figlio Christopher, alla prima occasione, abbia deciso di trasferirsi altrove, ben lontano dalla madre. Olive sa di non essere apprezzata nel paese ed è una conseguenza inevitabile che anche questo fattore contribuisca ad inasprirne il carattere: l’opinione del vicino spesso diventa parte integrante del nostro vivere quotidiano: ci condiziona, anche senza che ce ne rendiamo conto.

La Strout, però, non si conforma al pensiero della vox populi, non giudica simpatica o antipatica la sua protagonista, né instrada il lettore verso un determinato pensiero.

La scrittrice si limita, per così dire, a calarci dentro a tante storie, raccontando di rapporti genitori-figli, di legami fra coniugi, di rotture insanabili, di tabù sociali e di amicizia profonda, arrivando ad una semplice conclusione: tutti noi, per quanto apparentemente inflessibili, come Olive, ricerchiamo un contatto con l’altro e soffriamo la solitudine; non esiste un’età in cui stare completamente isolati faccia bene. L’unico pregio della solitudine, la quale è spesso un sistema di autodifesa, è che può aiutarci a riflettere sui nostri errori e sulle nostre eventuali mancanze, portandoci a guardare al passato sotto una luce diversa, più matura e consapevole (come accade alla stessa Olive, dopo la morte del marito).

Un romanzo bellissimo e delicato, che ci parla di debolezze umane e di vite difficili, capaci col tempo di riscattarsi. Profonda ed emozionante l’analisi psicologica e relazionale dei personaggi, che la scrittrice mette in atto, con grande attenzione ai dettagli. Meritato quindi, secondo il mio modesto parere, il Premio Pulitzer del 2009.

Cat.

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