Narrativa straniera

RECENSIONE: “Una famiglia americana” di Joyce Carol Oates

Titolo: Una famiglia americana
Autore: Joyce Carol Oates
Editore: Il Saggiatore
Pagine: 506
Anno: 2010
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VOTO: 4,5/5
4,5stelle

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Corinne e Michael rappresentano al meglio l’ideale del sogno americano: si sono sposati giovani, hanno messo al mondo quattro figli, mandano avanti una florida fattoria e una società di ristrutturazioni, la Mulvaney Tetti e Coperture. Con ambizione e tanta voglia di fare, si sono rimboccati le maniche e si sono costruiti una posizione di tutto rispetto.

Il luogo in cui vivono è un po’ decentrato, ma per i Mulvaney niente rappresenta una difficoltà, per cui sono sempre al centro di ogni attività e iniziativa locale. I rampolli di casa (Mike, Patrick, Marianne e Judd) hanno caratteri diversi, ma ognuno spicca a scuola per meriti intellettuali o sportivi. La vita in fattoria non è facile, ci sono molti compiti da svolgere, ma ognuno sa qual è il suo ruolo e lo svolge con puntualità.

Cosa manca allora a questa famiglia? Apparentemente nulla. La comunità li apprezza, li stima e segretamente li invidia: i Mulvaney sono spesso argomento di conversazione, c’è poco da fare.

Un giorno, però, la cattiva sorte bussa anche alla porta di High Point Farm. Qualcosa di terribile e sconvolgente accade infatti la notte di San Valentino del 1976, e il sogno americano, costruito con così tanta fatica, va in mille pezzi. A pagarne il prezzo più alto è Marianne, la principessa di papà, l’unica figlia femmina, la più amata. Ciò che le è successo è qualcosa di innominabile, che pian piano logora i rapporti interpersonali e porta la famiglia perfetta ad una drammatica frammentazione, scuotendone le fondamenta e lasciandola nuda, senza protezione di fronte ai propri difetti e al proprio perbenismo ipocrita.

Non poche volte si prova rabbia verso il comportamento di questi due genitori, così meschinamente ossessionati dal giudizio del prossimo, da mettere in secondo piano l’amore verso i figli e la comprensione dei loro sentimenti. Continue bugie, insieme a piccoli segreti e tradimenti, porteranno i Mulvaney non a proteggersi e raccogliersi come un vero nucleo familiare, ma a rinchiudersi nella solitudine e nel silenzio. Ognuno dovrà elaborare il dolore a proprio modo.

Questa intensa e amara storia americana è diversa da quelle che siamo abituati a leggere e sentire. La Oates, una delle scrittrici più prolifiche di questo secolo, non si nasconde nel denunciare piccole e grandi meschinità. Il suo libro arriva diretto come un pugno allo stomaco. La sua grandissima capacità di analizzare i sentimenti umani e di descrivere luoghi e situazioni ci offre un romanzo che non ha niente di inventato, e che per questo coinvolge il lettore fin dalle prime pagine. La compartecipazione è data anche dal fatto che la Oates ha intelligentemente scelto di far raccontare tutta la storia al più giovane di casa Mulvaney, Judd, di modo che il lettore vive i segreti e gli sviluppi di High Point Farm direttamente attraverso i suoi occhi e il suo cuore.

Ottima e davvero ben curata anche la traduzione della casa editrice. Detesto quando trovo refusi o errori nelle traduzioni e in quella de Il saggiatore non ne ho trovati nessuno.

Qualche pagina di troppo nel mucchio? Forse sì. Con qualche divagazione in meno su luoghi e personaggi secondari, la lettura sarebbe stata meno a singhiozzo e più scorrevole. Rimane comunque un’opera della cui lettura non mi pento assolutamente, e anzi consiglio anche a voi di leggere qualcosa di questa formidabile autrice americana, che, in modo piuttosto inedito, non si tira indietro dall’evidenziare i difetti del suo Paese, da sempre considerato il più felice e democratico del mondo.

Un abbraccio e buoni libri a tutti!

Cat.

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