Titolo: La principessa di ghiaccio
Autore: Camilla Läckberg
Editore: Marsilio
Pagine: 458
Anno: 2011
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VOTO: 3/5
Camilla Läckberg è cresciuta in un piccolo paese sulla costa occidentale della Svezia, Fjällbacka, dove inevitabilmente ha anche cominciato ad ambientare i suoi romanzi, come questa fortunata serie di gialli, che si inserisce appieno nella tradizione della letteratura nordica moderna.
Gli ingredienti ci sono tutti: una calcolata e non eccessiva dose di suspense, buona attenzione alla psicologia, indizi apparentemente certi e prontamente sconfessati, e una produttiva alleanza lavorativa (e non solo) tra la protagonista Erica e il poliziotto Patrick, che la aiuterà ad indagare sulla misteriosa morte dell’amica d’infanzia di lei, Alexandra, trovata esanime in una vasca di ghiaccio, da cui il titolo del libro.
Il libro si fa leggere, ci sono parti che scorrono meglio, potremmo dire senza dubbio le prime 150 pagine, ed altre invece in cui si fa più fatica. Forse troppi gli accenni appassionati inerenti la storia d’amore inaspettatamente sbocciata tra la novella investigatrice Erica e il bel poliziotto, che a tratti tingono il romanzo di rosa Harmony, facendoci dimenticare che si tratti in realtà di un giallo scandinavo. Erica si rivela sempre più ossessionata dalla scelta degli abiti da indossare e dei cibi da mangiare; Patrick è un uomo ligio al dovere, ma anche molto impulsivo. La simpatia del lettore verso i due protagonisti si fa quindi un po’ altalenante, mano a mano che il romanzo scorre sotto i suoi occhi.
Per tutto ciò non capisco sinceramente perché definire quest’autrice, anche se in parte brava e talentuosa, “l’Agatha Christie svedese”. L’unico tratto che accomuna le due produzioni è se vogliamo la sottile ironia con cui le scrittrici giocano coi loro lettori, lasciando qua e là nella trama indizi, come le briciole di Pollicino, senza alcuna immediata soluzione. Il povero lettore, come l’Hastings di Poirot o il Watson di Holmes, cerca, indizio dopo indizio, di mettere insieme il proprio personale puzzle; arriva un momento in cui crede perfino di esser giunto alla soluzione, che puntualmente invece crollerà con il colpo di scena finale, la parte ovviamente più bella di tutto il libro. Detto questo, i parallelismi finiscono.
Personalmente la storia mi è piaciuta, ma non l’ho trovata un capolavoro. Non rimpiango certo di aver letto questo libro, ma se non l’avessi fatto, non mi sarebbe mancato granché. In futuro non mi precludo di leggere altre opere di questa giovane scrittrice svedese, anche se ad oggi il mio giallista preferito rimane Simenon con la sua abilissima analisi psicologica e sociale della Parigi del suo tempo. La mia amica El. aggiungerebbe (giustamente) Donato Carrisi.
E voi cosa ne pensate?? Quali sono i vostri giallisti preferiti??
Cat.