Titolo: Le strade di polvere
Autore: Rosetta Loy
Editore: Einaudi
Pagine: 246
Anno: 2007
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VOTO: 5/5
Vengo a sapere in assurdo ritardo e per totale casualità che Rosetta Loy sia uno dei nomi più conosciuti della letteratura italiana e decido quindi di rimediare immediatamente, leggendo qualcosa di suo.
Questo romanzo ha vinto il Premio Viareggio e il Premio Campiello nel 1988. La Loy, nata a Roma nel 1931, ma di babbo piemontese, ha scoperto la passione per la scrittura fin da giovanissima, ma è solo dopo il matrimonio con Beppe Loy, fratello del famoso regista Nanni Loy, che comincia a collezionare premi e successi, come quelli sopracitati.

Le strade di polvere del titolo sono quelle abitualmente percorse dai personaggi del Monferrato, in Piemonte, in pieno Ottocento: la scrittrice tesse il ritratto di generazioni povere e campagnole, abituate a parlare un dialetto spurio, contaminato dal francese, e a nutrirsi di polenta, frutta, pane e formaggio, nel continuo alternarsi delle stagioni e delle vicende umane, spesso tragiche e crudeli.
Se vi piacciono le saghe familiari ben sviluppate è il libro perfetto per voi. La Loy ha una scrittura magica e suadente, che cattura il lettore come un incantesimo, potremmo dire dal grande potere evocativo. Pagina dopo pagina l’autrice ci fa seguire, con brevi pennellate storiche, le storie di uomini e donne, che già dai nomi odorano di tempi antichi, come la Luison, che non si è mai sposata, o il Gavriel, schiavo di un amore impossibile per una donna sposata, o il Giai, che sapeva suonare il violino come nessun altro mai. Ognuno è ben delineato e colto nei propri tratti distintivi e nella sua grande umanità, con il preciso fine di delineare una cornice fatta di grandi avvenimenti storici (la presa di potere di Napoleone, la terribile alluvione dell’ottobre 1839, le guerre del 1848…), ma anche di piccole scene intime e familiari (il momento conviviale dei pasti, il lavoro nei campi, i matrimoni…).
Non vi aspettate lo stile di certi scrittori moderni, con frasi smozzicate e tanti dialoghi inconcludenti. Qui regna la prosa vera, colma di sensazioni, ma priva di stuccheria. Non ha nemmeno il difetto di esser troppo lungo come romanzo (circa 250 pagine), per cui non annoia e non asfissia. Per certi versi lo stile ricorda quello di Marcello Fois (Stirpe) o di Ugo Riccarelli (Il dolore perfetto): potente, incisivo, carico di fascino.
Un libro che di certo riprenderete dopo qualche anno dalla prima lettura, amandolo come la prima volta e riscoprendo dettagli dimenticati. Lasciatevi trasportare dalle storie intense ed emozionanti di una scrittrice dalla grande capacità narrativa, respirate l’odore del grano, il sudore della fronte bagnata di febbre, l’impasto del dolce che cuoce sul camino: non ve ne pentirete.
Cat.
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