Titolo: Jack e Alice. Ozi e vizi a Pammydiddle
Autore: Jane Austen
Editore: Donzelli
Pagine: 74; illustrato e rilegato
Anno: 2010
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VOTO: 3.5/5
Scritto da una Jane Austen appena quindicenne, nel 1790, il romanzo sorprende non tanto per la trama, quanto per l’abile capacità della giovanissima scrittrice di delineare psicologie e far emergere difetti e debolezze dell’animo umano. La Austen già dimostra quelle caratteristiche che saranno il fiore all’occhiello delle sue opere successive, conosciute, amate e tradotte in tutto il mondo.
(Un ritratto a lungo dibattuto da critici ed esperti; sarebbe l’unica testimonianza dell’aspetto di Jane Austen ragazzina. Foto dal web)
In questo romanzo breve, scorrevole e tutto sommato divertente, un po’ fuori dal tempo e dallo spazio, come una favola, e impreziosito, in Donzelli, dalle stupende illustrazioni a china di Andrea Joseph (qui al suo debutto nell’editoria), Jane ci fa spettatori di una sagace commedia, in cui ogni personaggio è maschera caricaturale del proprio difetto o qualità principali. Per sottolineare ancora di più quest’aspetto dissacrante, la Austen marchia ogni caratteristica con tanto di lettera maiuscola; così, una delle sorelle Simpson è additata per il suo essere sempre “Invidiosa, Dispettosa e Malvagia”, mentre Charles Adams è “di una Bellezza così accecante che nessuno riusciva a guardarlo in faccia”.
Fulcro di tutta la storia e ambiente in cui agiscono i pochi personaggi è la cittadina immaginaria di Pammydiddle (come a dire “Imbrogliopoli”), nome parlante che di certo non sorprende nella produzione della scrittrice inglese, ma che è caratteristica peculiare della sua penna ironica.
Il motore principale della trama è piuttosto ovvio: Alice, fanciulla giovane e innocente (non fosse per quella passione non poi tanto dissimulata per il Vinello), sogna il matrimonio perfetto e soffre di un amore non corrisposto. Questo fa sì che le sue pene siano causa e oggetto di numerosi dialoghi, in particolare con l’ancora piacente vedova Lady Williams, e file rouge di tutto il romanzo.
L’aspetto che più di tutti attrae è sicuramente la scrittura frizzante e ardita, che mette in particolare risalto gli aspetti deformanti della personalità umana, quali l’ubriachezza, l’ambizione e la passione per il gioco a carte o a dadi: così esplicitamente, nelle opere successive, non li vedremo più descritti. In Jack e Alice sembra quasi che la Austen voglia attuare una parodia della società borghese a lei contemporanea, tutta decoro e perbenismo. Il suo occhio di adolescente intelligente e vivace tutto vede e tutto denuncia, senza far sconti a nessuno e senza comunque arrivare mai a toccare i vertici del grottesco.
Per il resto, il romanzo non rimane impresso nel cuore del lettore. Egli semmai lo apprezza come una breve parentesi ironica e leggera della sua esistenza.
Cat.